Per me un Pol Roger rosé (chi mi conosce sa che ho un debole per le bollicine). Per voi? giusto un brindisi, come si addice all'inizio di ogni nuova avventura....

lunedì 12 novembre 2012

Quando fermare il tempo




Quando vorresti fermare il tempo?
Una domanda se vogliamo banale, che un'amica ha postato ieri su FB, un sondaggio che le serviva per un'esercitazione. Volevo rispondere, per dare un contributo, ma non ce l'ho fatta. Sono rimasta lì, con il dito sospeso sopra la tastiera del cellulare, incapace di trovare le lettere su cui posarlo...
Fermare il tempo... Quando? Adesso. Era l'unica risposta che riuscissi formulare. Adesso, e adesso, e poi ancora adesso. Mi sono resa conto all'improvviso che la mia vita è fatta di momenti che vorrei vedere dilatarsi all'infinito. Per riuscire a fare tutto quello che vorrei, e per assaporarlo anziché accantonarlo subito, già inghiottita dall'impegno/progetto/scadenza successivi. Perché non mi ricordo più com'era vivere senza essere perseguitati dalla sensazione di essere sempre in ritardo, sempre sul punto di affogare. Com'era vivere quando la mente e il corpo si muovevano alla stessa velocità. Adesso invece i pensieri volano veloci, ma le dita sulla tastiera scivolano lente, a volte inciampano; gli occhi si velano di ombre, e le gambe sembrano inchiodate al terreno... Ecco vorrei fermare il tempo per dare al mio corpo il tempo di affiancarsi ai pensieri.




martedì 6 novembre 2012

Aki ga kitanda...

Già, in un batter d'occhio è arrivato l'autunno...
"Aki ga kitanda" è il titolo della prima puntata di Hōrōki, diario a metà fra realtà e fiction, la cui pubblicazione nel 1928 segna l'esordio di Hayashi Fumiko (scrittrice oggetto da parte mia di amore struggente...).


Ho imparato questa poesia a scuola, nel Kyūshū:

Nella profonda notte autunnale,
un viaggiatore tormentato da tristi pensieri
nostalgia per la propria casa, per la propria famiglia.

Ero destinata a essere una vagabonda.
Non ho una città natale.
Sono un ibrido, una bastarda.
Mio padre era un venditore ambulante di tessuti di cotone e lino. Era originario di Iyo, nello Shikoku. Mia madre era la figlia del proprietario di un albergo termale sull'isola di Sakurajima, nel Kyūshū. Si era messa con uno straniero, e per questo entrambi  vennero scacciati da Sakurajima. Per un periodo si stabilirono a Shimonoseki, nella prefettura di Yamaguchi, ed è lì che sono nata.

Dal momento che i miei genitori erano stati banditi dalle rispettive famiglie, viaggiare è stata la mia vera casa. Ed è proprio perché ho sempre sentito di essere destinata a una vita vagabonda, che questi versi che parlano della nostalgia con un senso di insostenibile tristezza si sono impressi nella mia memoria. (Hōrōki, p. 8)

Mi sono spesso chiesta se il mio amore per Hayashi non nasca proprio dal fatto che anche io sono a modo mio una vagabonda, un'irrequieta viaggiatrice, incapace di fermarsi troppo a lungo ovunque, sempre a rincorrere  il prossimo pensiero, o il prossimo sogno. Solitaria.

Per me l'autunno quest'anno sono i tetti di Bologna oltre le finestre della mia mansarda, gli alberi del giardino che proprio ieri sono stati potati, la nebbia che avvolge i colli troppo presto la mattina. L'autunno è la morbidezza di una birra ai fichi, il fondente del fois gras di quel nuovo negozio di specialità francesi aperto in centro, la pungente fragranza dei mandarini. Le lunghe passeggiate fra i portici, il treno che ogni venerdì mi porta in laguna... e la lunga lista delle cose da fare, qui, giusto di fianco al computer.

Ma stamattina l'autunno è anche un libro appena riletto... Ho cominciato la scorsa settimana a ri-sfogliarne alcune pagine, pensando di parlarne a lezione...e poi mi ha catturato di nuovo, e ho finito per leggerlo ancora una volta dalla prima all'ultima riga.

"In quei momenti Daisuke si domandava in silenzio per quale ragione fosse venuto al mondo. A più riprese aveva affrontato questa grave questione e cercato di guardarla in faccia. A volte era motivato da pura e semplice curiosità filosofica, altre volte la sua mente era sollecitata dai fenomeni sociali con tutte le loro complesse sfumature; in giornate come quella, infine, il suo stato era la conseguenza dell'ennui. In ogni caso arrivava sempre alla stessa conclusione. Una conclusione che non rispondeva alla domanda, ma piuttosto la negava. A suo parere, infatti, gli esseri umani non nascevano per realizzare un obiettivo. Al contrario, un obiettivo si formava soltanto quando una persona veniva al mondo. Creare  a priori un obiettivo, fin dall'inizio, e applicarlo a una persona, equivaleva a rubarle la libertà di movimento fin dalla nascita. Un obiettivo era qualcosa che l'essere umano doveva costruirsi da solo". (pp. 149-150)










domenica 2 settembre 2012

Settembre

Settembre è il verde liquido della Bassa Padana sotto la pioggia. Gli scampoli di terra arata di fresco. Il mais maturo nel fogliame secco d'oro brunito. E' l'asfalto sotto le ruote. Il tintinnio delle bottiglie nel bagagliaio. La musica rigorosamente trash dell'autoradio...
Settembre è casa. Un libro non ancora finito perché tu fai un sacco di progetti&programmi ma poi l'estate, la vita ti fanno lo sgambetto. E poi NipPop2013. Forse CineMaki2... E SognandoIncubo...
Ma ci penserò domani. Stasera, settembre è una libro nuovo che aspetta di essere letto.  E un nuovo dorama da sfogliare.





martedì 28 agosto 2012

Dei Nobel, delle quasi omonimie e di altre eresie ...




"Non era il rumore di un aereo. Era il ronzìo di un insetto che mi volava dietro l’orecchio. Più piccolo di una mosca, l’insetto mi ha girato per un po’ davanti agli occhi, poi è scomparso in un angolo della stanza buia.
Sul tavolino bianco rotondo che riflette la luce del soffitto c’è un posacenere di vetro. Dentro si consuma una sigaretta lunga e stretta, sporca di rossetto sul filtro. Sul bord
o del tavolo c’è una bottiglia di vino a forma di pera; sull’etichetta è disegnata una donna bionda con un grappolo d’uva in mano, che si riempie la bocca di chicchi. Anche sulla superficie del vino dentro al bicchiere si riflette tremolante la luce rossa del soffitto. Le gambe del tavolino affondano e scompaiono nella lana folta del tappeto. Di fronte c’è un grande specchio. La donna che vi sta seduta davanti ha la schiena imperlata di sudore. Ha allungato le gambe, e si è sfilata le calze nere arrotolandole lentamente".

(Murakami Ryū, Blu quasi trasparente, incipit)



Se Murakami deve essere, almeno che sia Ryū, ho scritto qualche giorno fa...
Una provocazione? Non del tutto.
Che Haruki non sia il mio autore preferito (non me ne voglia Giorgio...), è cosa nota. Il che non significa che io ne disconosca il ruolo nel turbinio cultural-letterario degli anni '80. 
Ma se dovessi descrivere la sua narrativa in una sola parola, credo sceglierei "inter-nazional-popolare"(ok, sono tre...lo so, ho barato con quei trattini...posso arrivare a due, "global-popolare", rinunciando al sottile retrogusto di Pippo nazionale...). Prolisso, ripetitivo, banale...ogni volta che leggo un suo romanzo, dalla decima riga mi perseguita quella per me sgradevole sensazione di déjà-vu. E' stato così fin dalla prima volta, quando ho letto "Norwegian wood". Con Kerouac accigliato appollaiato sulla spalla. L'unico romanzo che ho assaporato con piacere è stato "Nel segno della pecora". "A sud del confine, a ovest del sole" ho deciso di smettere. Ma non ho saputo resistere al richiamo orwelliano di "1Q84"... giace da mesi abbandonato a p. 50. Conquistando la pool position dei (pochi) libri non finiti della mia vita: "Sangue e arena" e "Il nome della rosa", rimasto ai vertici della classifica per anni (p. 85). Lo so, non si può dire. Ma la tendenza eretica/iconoclasta frizza come champagne nelle mie vene...
Sorvolo sui ritratti femminili che costellano i suoi romanzi: deliziose orecchie pronte ad ascoltare, ad accogliere i tormenti del protagonista (maschio) di turno...silenziose, mute.
Mille volte meglio il disincantato Ryū, provocatorio, scomodo. Tagliente. Con quella stupefacente capacità di vedere un attimo prima dove è che la trama sta per sfilacciarsi in quel tessuto sociale apparentemente intatto, compatto, perfetto...intat-to, compat-to, perfet-to...

Detto questo, cos'è il Nobel? Il Meridiano di Greenwich della letteratura mondiale, risponderebbe Pascale Casanova. Che ogni anno si riposiziona, e, partito dalla vecchia, cara Europa, si è via via spostato - con un po' di diffidenza si intende, sovente zigzagando a passo di gambero - fino ad abbracciare i paesi d'Oltreoceano, e l'Asia. Sull'onda di movimenti, tensioni, lacerazioni legate a questioni di egemonia politica prima ancora che culturale. Ma che cos'è la letteratura mondiale? Il nuovo canone? o piuttosto - come suggerisce Damrosh - una modalità di lettura? cosa determina l'appartenenza o la cittadinanza di un testo letterario? se riconosciamo che il momento della fruizione/circolazione ha in questo caso la precedenza su quello della produzione, e un'opera diventa "mondiale" nel processo di traduzione/distribuzione... allora Haruki for President...
Ammesso naturalmente che il Meridiano di Stoccolma si sposti... un momento... dove? Haruki non vive  più in Giappone da anni...!







sabato 25 agosto 2012

Punto. Linea. Cerchio.


Ecco. questo è quello su cui sto lavorando in questi giorni di fine agosto... Se tutto va bene, diventerà un libro, conclusione di un viaggio iniziato qualche anno fa che da Tokyo mi ha portato a Berlino, a Toronto, a Brasilia. Amo le visioni geometriche di Le Corbusier, le aeree e algide trasparenze di Mies van der Rohe, le architetture delle metropoli reali, dal modernismo sensuale di Oscar Niemeyer alle curve di Calatrava. Mi intriga il modo in cui vengono traslate e reinterpretate nel cinema, e nella letteratura, laddove lo spazio si fa corpo che interagisce con altri corpi, umani, post-umani, monadi disorientate o identità fluidificate in quel magma indistinto che chiamiamo folla. 






Un assaggio della letteratura giapponese contemporanea, dagli anni ’80 ai giorni nostri, con particolare attenzione al rapporto fra scrittura e spazio urbano. Un percorso letterario e metropolitano il cui filo conduttore è l’idea che ogni testo possa essere letto come un “romanzo urbano” (toshi shōsetsu), una narrazione nella quale spazio della città e spazio della scrittura continuamente si intrecciano e si intersecano, e insieme contribuiscono alla costruzione della forma e del senso.
Il noto critico Maeda Ai (2004), nello specifico, ha individuato tre assi sui quali esplorare le interconnessioni di forma e senso fra spazio metropolitano e testo:
1.Asse simbolico, sul quale si collocano lo spazio privato della casa da un lato, e dall’altro i luoghi pubblici, legati a specifici contesti sociali o realtà istituzionali.
2.Asse paradigmatico, l’asse cioè delle opposizioni binarie inside/outside, città/campagna, centro/periferia.
3.Asse sintagmatico, ovvero delle connessioni, sistemi di trasporti, reti stradale, ferroviaria, metropolitana.
Nella scrittura del Giappone odierno, frutto di una cultura per definizione metropolitana, queste tre dimensioni molto spesso convivono e diventano i punti cardinali dell’interpretazione, consentendo non solo di evidenziare i tratti salienti di una letteratura che in anni recenti ha saputo parlare a un pubblico sempre più vasto e lontano dai confini nazionali, ma anche di seguire il rapido mutare ed evolversi di una Tokyo divenuta simbolo ed epitome di una contemporaneità che sempre più si confonde col futuro.
(to be continued...)