Per me un Pol Roger rosé (chi mi conosce sa che ho un debole per le bollicine). Per voi? giusto un brindisi, come si addice all'inizio di ogni nuova avventura....

domenica 29 maggio 2011

Kawase Naomi, Hotaru

Daiji è un giovane artigiano, che vive e lavora nell’antica città di Nara; Ayako è una spogliarellista e divide l’appartamento con Kyoko, la donna che l’ha allevata dopo la morte prematura della madre. Tra i due nasce l’amore, ma il momento è difficile per entrambi: Daiji ha da poco perduto il nonno, e Ayako è reduce da una delusione amorosa e dalla traumatica esperienza di un aborto. La ragazza d’altronde non ha mai avuto vita facile: figlia di genitori divorziati, ha dovuto ancora in tenera età affrontare il dolore per il suicidio della madre. In seguito a una retata nel locale dove lavora, Ayako viene messa sotto sorveglianza. Decide allora di tornare al villaggio natio, dalla nonna che non vede da anni. Ma all’arrivo scopre che l’anziana donna è morta da poco. Il dolore per la perdita è tale che nemmeno la presenza di Daiji riesce a esserle di conforto; tanto più che al rientro in città l’attende un’altra prova: Kyoko ha una malattia incurabile. Un susseguirsi di sofferenze durissime, che tuttavia la giovane donna affronta con coraggio, riuscendo alla fine con l’aiuto di Daiji a dare una svolta alla propria vita.

(pp. 11-16)
L’estate dell’anno successivo, mia madre lasciò lo Shikoku, e mi portò con sé.
Il paesaggio familiare si allontanava sempre più. Nelle risaie le piantine verdi ondeggiavano mosse da sporadiche raffiche di vento. Il monte Iino, che domina il piccolo villaggio, nella forma ricorda il Fuji, e infatti lo chiamavano Sanukifuji.
A me quel paesaggio piaceva molto. Avevo l’impressione che sarebbe stato parte di me per sempre. Chissà a mia madre come sembrava… La sua espressione quando sollevò d’improvviso lo sguardo e, assorta, lo fissò chissà dove, verso un luogo che non conoscevo... Estranea alle mie emozioni, non si era nemmeno voltata a guardare quel villaggio di cui non si poteva non innamorarsi. Facevo fatica a contenere l’inquietudine e le trotterellavo al fianco, con lei che mi tirava per la mano.
Una volta partite per la città, notò il mio viso accaldato e mi comprò un cappello di paglia con un nastro rosso. Mentre aspettavamo il traghetto, mi prese anche un ghiacciolo. Era stranamente più affettuosa del solito. Leccavo il ghiacciolo, e seguivo con lo sguardo la sua figura, sbirciando da sotto la tesa del cappello. Stringeva la cornetta del telefono e parlava con qualcuno. Tornò da me nella confusione della sala d’attesa, fra l’andirivieni della folla, e in quel momento avvertii chiara la sensazione che esistesse un’altra persona che lei amava più di quanto amasse me.
Gli occhi di mia madre attraversavano il mio corpicino di carne, quasi a voler riconfermare l’esistenza della donna che vive nella madre. Io ero la prova del fatto che lei era venuta alla luce come donna, con il respiro affannoso dell’animale che desidera il corpo del maschio. La madre che riconosceva l’esistenza del mio io non c'era più.
Il traghetto, dopo aver lasciato il porto di Takamatsu, virò e cominciò a prendere velocità. La scia bianca e spumeggiante sembrava un ponte sospeso fra me e il mondo. Non riuscivo a smettere di fissarla. Il sole tramontò poco dopo, e il cielo da blu si fece nero. Il frastuono incessante del motore  continuava ad aumentare. Osservavo con attenzione, eppure riuscivo a distinguere solo vagamente la linea di confine tra il Mare Interno e il cielo. Provavo la rassicurante sensazione di essere il solo essere vivente in quella profonda oscurità. Niente sarebbe più cambiato. Proprio quando avrei voluto essere anch’io inghiottita dal buio e diventarne parte, in direzione della linea dell’orizzonte, appena distinguibile, una grande sagoma scura spiccò un balzo per poi scomparire nel mare.
“Una balena?”
Mi tornò in mente una storia che avevo trovato nel dizionario di giapponese la prima volta che l’avevo consultato, riguardo a una nuvola a forma di balena bianca che fluttua nel cielo. Però in quel caso si trattava davvero di una nuvola bianca che si sposta nel blu. All’apparenza questa le somigliava, eppure la balena che avevo appena intravisto sul filo dell’orizzonte era completamente diversa.
La mia balena viveva nel mondo cupo dell’oscurità, dove anche una sagoma candida si trasforma in un oggetto nero come la pece. A prima vista, finiva inghiottita dal mondo, ma in realtà, in virtù di una qualche forza straordinaria che si sprigionava da dentro di lei, la sua esistenza diventava qualcosa di assoluto. Avevo l’impressione che la balena attirasse il mondo a sé, e mi sentivo orgogliosa che mi facesse da scorta.
“Cosa stai facendo?”
Mi girai con un sussulto, e incrociai gli occhi assonnati di mia madre, i capelli sciolti scompigliati dalla brezza marina. Avrei voluto parlarle della balena che avevo appena visto, ma non trovavo le parole giuste. Un attimo dopo, senza che io le avessi risposto, la mamma mi attirò a sé, e per un po’ restammo a fissare il mare nero.
A contatto della mia guancia, il suo braccio era freddo. Volevo farle vedere la balena nera, e quindi aspettai che riapparisse, ma non tornò più.

Il giorno dopo, o l’anno successivo… i miei ricordi sono frammentati. Mi trovavo alla stazione. La figura di mia madre, di spalle, si allontana lungo il binario.
Finalmente sarò sola. Quando ormai la sua immagine non si distingue più, mi assale la sensazione di essermi liberata di una seccatura che mi aveva ossessionato troppo a lungo, ma, nello stesso tempo, provo un senso di vuoto, come se la mia vita si stesse dissolvendo. Non sono triste, eppure le lacrime prendono a scorrere, una dopo l’altra.
Me ne accorgo all’improvviso: c’è qualcuno vicino a me. Si tratta di una donna dai lunghi capelli castani, con un vestito sgargiante; completamente diversa da mia madre. Il suo profumo mi stordisce. Una fragranza che mi da alla testa, e va e viene insieme al suo respiro.
“Non serve piangere!”
Le sue parole suonano gentili. Le sue mani calde asciugano le lacrime che mi scorrono lungo le guance.
Chi è?
Una domanda spontanea. Ma forse non importava chi fosse. Certo è che il tepore di quelle mani calde a contatto delle mie guance aveva instillato nel mio corpo una nuova energia. La sensazione distinta della sua mano che avvolgeva con forza la mia.
“Andiamo.”
E ci incamminiamo.




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