Per me un Pol Roger rosé (chi mi conosce sa che ho un debole per le bollicine). Per voi? giusto un brindisi, come si addice all'inizio di ogni nuova avventura....

domenica 15 maggio 2011

Sandra Petrignani, “Il sesso dei libri"

L’argomento si ripropone regolarmente: esiste una letteratura femminile? Ha senso dividere la letteratura, al di là di un elemento brutalmente sociologico legato al sesso degli autori, in maschile e femminile? Non sarà che continuando a distinguere le due categorie si finisce per ghettizzare i libri scritti da donne?
Capita che mi trovi a cena con un amico autore di saggi ammirevoli, Massimo Onofri, critico militante capace di severità inaudita, docente universitario, firma fissa dell’Avvenire, e poi collaboratore della Stampa, L’Indice, Nuovi Argomenti, e giro a lui la domanda. E’ drastico, sicuro di sé: «Ha senso solo per i piccoli romanzi, quelli insignificanti. I grandi libri non sono né maschili né femminili. Sono grandi e basta. Chi se ne importa se l’autore è un maschio o una femmina». Per un momento mi si alleggerisce il cuore. Sono d’accordo vorrei gridare. Vorrei fare il giro del tavolo e andare ad abbracciarlo. Com’ è tutto semplice e chiaro. E poi cambiamo discorso, quasi che il mio quesito non meriti altra attenzione.
Ma poi mi rendo conto che non sono convinta. Troppo semplice e liquidatorio. Certo che un bel libro è soprattutto un bel libro, ma come «chi se ne importa del sesso dell’autore»? A me importa moltissimo, per me una differenza la fa eccome. Non mi piacerebbe ignorare completamente la biografia dello scrittore, la sua provenienza geografica, figuriamoci il suo sesso. A parte il fatto che deve esserci una ragione profonda se nei romanzi scritti dalle donne mi trovo a mio agio come in una cuccia calda (beninteso quelli che mi piacciono). Io adoro Philip Roth, devo moltissimo a Kafka (non meno che a Virginia Woolf) vado pazza per Vladimir Nabokov (almeno quanto per Katherine Mansfield), reputo un genio Samuel Beckett, sono divorata dall’ammirazione per Tolstoj, mi pento con tutta me stessa di aver dato buca inavvertitamente a Milan Kundera tanti anni fa (questo però lo racconto un’altra volta), perché conoscerlo sarebbe stato fantastico, ma. Ma quando li leggo so sempre perfettamente che sto leggendo il libro di un maschio. Non che mi dia fastidio. Anzi, mi affascina, mi diverte, m’incuriosisce. Però lo so.
Cosa so esattamente? Che il mio alfabeto è un altro, l’aria di casa è un’altra. Quella che respiro se apro una pagina qualsiasi, per esempio, di Marguerite Duras. E non è che Duras sia più ossessionata dall’amore (tema che si vorrebbe spiccatamente femminile) di quanto lo sia Roth. L’amore come desiderio, la passione erotica, sono centrali per entrambi. Solo che una esprime l’ossessione femminile, l’altro quella maschile per lo stesso oggetto. Ecco il punto: la differenza è semplicemente, dolorosamente, sessuale. Sì, signori miei, checché ne dica Onofri, ora mi sono convinta: la letteratura è sessuata e non ha senso negarlo. Anzi, è uno dei suoi elementi più potenti, e sospetto che sia un elemento di irresistibile fascino di certi autori che ci fanno cadere perdutamente innamorati. E questo non esclude affatto amori omosessuali.
E non mi si dica che sostenendo il sesso della letteratura torno dritta dritta nel campo sociologico. Eh, no. Qui siamo nel territorio del profondo, psiche e inconscio, altro che. E un grande libro è semplicemente un libro più sessuato di altri, altro che «né maschile, né femminile» come dice Massimo. Un grande romanzo sprigiona probabilmente un potenziale erotico incalcolabile. E sfido chiunque a sostenere che la sessualità femminile è uguale a quella maschile.
Ecco, forse ho scoperto l’acqua calda, eppure ora tutta la complicata e sempre insoddisfacente questione se esista o no uno specifico letterario femminile mi sembra che abbia trovato una sistemazione. Quel che non mi suona però è un’altra cosa: la presunzione che gli uomini hanno di mettere le cose in un certo modo. Ovvero ti chiedono: «esiste secondo te una letteratura femminile?» come se la normalità fosse la Letteratura (tacitamente maschile) e poi ci fosse un luogo strano, altro, stravagante quando va bene, melensuccio quando va male, dove le donne si scatenano e ne scrivono di tutte, magari anche in modo affascinante, magari degne della loro (dei maschi) preziosa attenzione, ma insomma sempre da femmine, che poi cosa sono le femmine? Quelle cui manca qualcosa, no?, anzi la Cosa (o meglio sarebbe dire il Coso), l’unica Cosa/Coso che davvero conta per la mente di un uomo.
Ecco, l’ho detto. Mi stava sullo stomaco. Sì, sì, sì, la letteratura è femmina e la letteratura è maschio, e omosessuale, e transessuale probabilmente, e bianca e nera, e ha un odore e un sapore quando è grande letteratura, e gronda umori a volte molto scomodi. Ma gli umori che escono da un corpo di donna sono parecchio diversi da quelli che stilla un corpo maschile, e lasciateceli godere entrambi. Ma alla pari, sul serio, finalmente.

(da Giudizio Universale 8/1/2010)

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